COSMICOAMOR 1994 acrilici su tela cm 60×80

Note su Willi

I primi due aspetti che colpiscono guardando le opere di William Vecchietti, sono indubbiamente la bidimensionalità ed il chiaro riferimento a certi lavori di Keith Haring. Si tratta però di una primissima impressione quanto mai superficiale, suggestione che scompare immediatamente se si analizzano le opere in maniera un po’ più approfondita e seria. La bidimensionalità degli elementi dipinti serve solo da porta interdimensionale, se invece si studia la struttura compositiva delle opere, si troverà presto una chiave di lettura abbastanza semplice, ma con conseguenze interessanti.
Le diverse tele dell’artista hanno frequentemente un elemento centrale, che funge da perno ideale per la rotazione sull’opera su se stessa: la piccola rotazione iniziale è poi amplificata dagli elementi pittorici posti lungo le direttrici del quadro, che dal centro vanno verso l’esterno.
L’accelerazione improvvisa, è poi garantita da tutto il microcosmo di figure che vive all’interno dell’opera. Ben presto questa rotazione bidimensionale, si trasforma in un movimento a spirale che tende ad assorbire lo spettatore all’interno di un universo splendido e tremendo allo stesso tempo.
In questo modo si è entrati nell’opera. Suoni, Flash e vertigini accompagnano ora verso altri mondi dipinti lì vicino con colori allucinanti.
Mostri e simboli sembrano essere tratti dalle più remote profondità dello spirito, ma la loro decifrazione è impossibile, poichè non hanno un unico referente, ma infiniti: lo stesso artista rinuncia a seguirli tutti…vivono. Alcuni elementi, il cuore, il preservativo, la croce e l’occhio, ritornano spesso, come delle ossessioni, con noi essi l’artista plasma irreversibilmente il suo universo, non c’è scampo, questo è il suo mondo.
In realtà in fondo lo spettatore non è approdato in un universo neutro ove tutto può accadere, in linea di massima il destino di chi vi è dentro è già calcolato dall’autore, non si sfugge.
Riuscitissima l’immagine di Oskar Barrile quando descrive i contenuti delle tele dell’autore come un “woodoo”alla rovescia dove disegnare il Nemico vuol dire annientarlo e dove tratteggiare l’Amico è già averlo salvato per sempre.
Altro errore di valutazione sarebbe quello di avvicinare troppo le opere dell’artista a quelle di Haring, poichè vanno in direzioni diverse e sono eseguite in tempi e con retroterra culturali completamente distanti, se proprio si volesse collocare le sue opere, sarebbe più opportuno sistemarle lungo quel filo rosso dei “pittori dell’immaginario” così abilmente descritti da Giuliano Briganti.

Danilo Burattini giugno 1997